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BIBLIOTECA

VINCENZO SEVERINI

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Italiano-Moranese
Note sull'edizione

Canti Popolari di Morano Calabro

FEDELE MASTROSCUSA

Miscellanea

CINZIA MASTRASCUSA

L'italiano di Mary Shelley Gibran Khalil Gibran

VINCENZO SEVERINI

PRONTUARIO
MORANESE-ITALIANO ED ITALIANO-MORANESE
di 400 vocaboli
DI COSE DOMESTICHE, SCIENZE, ARTI E MESTIERI

La lingua, ch'è tanta parte di una nazione, è così bella ed armoniosa in Italia... che tutti i popoli ce la invidiano.
          G. STRAFFORELLO

A VOI
PADRI E MADRI DI FAMIGLIA
A VOI MAESTRI E MAESTRE
CHE INSEGNATE
E CHE VERRETE AD INSEGNARE
NEL NOSTRO COMUNE
A VOI
CHE SIETE GLI ARBITRI
DEI FUTURI DESTINI DELLA NOSTRA TERRICCIUOLA
NELLA FIDUCIA CHE VI SIA UTILE
NELLA DIFFICOLTOSA CARRIERA DI EDUCATORI DELLE TENERE MENTI
QUESTO MIO BREVE LAVORETTO
UMILMENTE CONSACRO

AI MIEI CONCITTADINI

S'io vi dicessi che con questo mio lavoretto intendo dar dalla mia parte un leggiero impulso all'uso della lingua nazionale, così bella, così dolce in questa povera Italia, son certo, o Signori, anzi certissimo, che prorompereste in due fortissimi scrosci di risa, forse per non avvilirvi a confutare il mio dire, per non degradarvi e farmi le necessarie obiezioni. Ma io ho letto nel vostro pensiero, ed ho tradotto il vostro riso sardonico presso a poco in questi termini. – Perché abbiano effetto i tuoi intendimenti occorrono due cose: 1. Che il tuo lavoro anziché un semplice prontuario fosse un voluminoso vocabolario preceduto da un trattato di grammatica dialettale contenente da una parte tutte le voci del dialetto colla corrispondente in italiano, dall'altra tutte le voci italiane colla corrispondente in dialetto; 2. Che tal lavoro fosse esteso per tutti i dialetti della Penisola.
Un po' più adagio, Signori, un po' più adagio nei vostri giudizi, e cambierete linguaggio.
M'immagino, anzi son certo che ciascuno dei nostri braccianti, cui direte: – Domani voglio esser seminati di grano tutti quei terreni a secco al punto B; va dunque dal mio colono in campagna a dirgli che sospenda la raccolta e si prepari la semenza – vi ubbidirà senza aspettare che gli si spieghi o ripeta il comando. Dite invece al più culto dei vostri servi: – Va' al mio podere, e di' al mezzaiuolo che stasera vagli quella segala nelle soffitte della casina, e domani per tempo introduca i bovi nell'aia per trebbiare i covoni delle prime biche – voi avrete parlato in lingua araba e non potrete essere inteso ed ubbidito senza una lunga spiegazione di ciascun vocabolo.
Perché dunque le prime espressioni riescono così intelligibili appena udite, e le seconde così dure anche dopo spiegate? Forse non sono entrambe della lingua italiana? O forse le une sono del linguaggio familiare e le altre dello stile oratorio? No, tutte e due della lingua italiana, tutte e due del linguaggio familiare. La ragione è chiarissima, ed ognuno sa rispondermi che vi sono dei vocaboli accessibili ad ogni intelligenza, degli altri no. E perché dunque tal varietà di vocaboli, e quali sono i primi e quali i secondi? Non è difficile indagarlo.
Esaminando il nostro dialetto, analizzandolo e paragonandolo coll'italiano, vi si osserva questo di singolare, che esso cioè presenta tre classi di vocaboli: la prima comprende tutti quei vocaboli che esso ha comuni colla lingua nazionale, tali sono ad es. porta, finestra, lanterna, rosa, spina, mamma ecc; la seconda quelli che dagl'italiani differiscono solamente per qualche leggera modificazione subita, es: iórnu, giorno, figghiu, figlio, manu, mano (A), ecc. e la terza quegli altri che all'italiano non si assomigliano nemmeno per ombra. Infatti nessuna somiglianza vi ha fra uncino e crócchiu, fra pannocchia e spica, fra zucca e cucuzza. Quindi nel mio Prontuario non era mestieri parlar della prima, né era utile parlar della seconda classe perché oramai qualunque persona nel nostro paese capace di far da sé quelle modificazioni e tradurre senza alcuno ostacolo in italiano quei tali vocaboli del dialetto, facendo da iórnu giorno, da cavaddru cavallo, da chiazza piazza, da Maronna Madonna. Anzi fanno ridere alcuni dei nostri popolani che talvolta parlando con delle persone civili, nel dubbio che quella tal parola (della prima classe) non sia detta a modo vi schiccherano di tanto in tanto un divedito per riverito, planzo per pranzo, a divedèrci per a rivederci, oda pro nobis per ora pro obis.
Mi son riservato quindi far cenno solamente di quelli della terza classe, e, facendo cenno di questi, ho ristretto il mio lavoro e mi son fermato soltanto sulle voci di cose domestiche, di scienze, arti e mestieri perché vivaddio, chi ha un po' di sale in zucca deve conoscere tutti gli altri.
Credo così di aver appianato un gran vuoto nella vita letteraria del nostro paese. Ogni altra città, ogni altro borgo, ogni altro villaggio non sarà privo certamente di un giovane che di queste cose ne sappia come me, più di me, meglio di me: un quidam qualunque potrà in ogni paese accingersi ad un sì lieve lavoro, un po' di pazienza, di buona volontà e di amor patrio e tira avanti.
Per me l'esempio l'ho dato, e nient'altro che questo potevo offrire. Se conoscessi tutti i dialetti, non mi spaventerei di assumere io quest'incarico: s'è fatto tanti sacrifizi per l'unità fisica, qual meraviglia farne un ultimo per l'unità di lingua e di pensiero di questa Infelice redenta?
Se le mie parole hanno dell'esagerato, compatitemi; se il mio lavoretto vi è parso unatrivialità, scusatemi; ma non mi negate il piacere di sentirvi di tanto in tanto profferire una parola italiana a di vedervi in mezzo ai vostri bambini colla croce e coll'avemaria insegnar loro come va detto nella lingua comune quella tal masserizia dello scrittoio, della stanza da letto e cucina.

      Morano Calabro 17 Novembre 1879.

V. SEVERINI

 

(A) Tali modificazioni sono presso a poco le seguenti:
1. La E si converte ordinariamente in I, ma spesso anche in E chiusa: es. pera, pira, mese, misi, ferro, férru, medico, méricu.
2. L'O in principio di parola resta quasi sempre intatto: es. oro, oru, operaio, opràriu. Nel mezzo ora resta intatto, ora si tramuta in O chiuso, ora in U: es. corda, cordra, corpo, córpu, amore, amuri. In fine di parola sempre in U, es. libro, libru, amico, amicu.
3. Il dittongo ie si è cambiato quasi sempre in È aperta, ma talvolta anche in É chiusa: es. pietra, pètra, piede, pèri, cielo, célu, Diego, Drécu.
4. Del dittongo uo ne abbiamo formato un O chiuso: es. suono sónu, fuoco fócu.
5. La consonante B abbiamo sempre cercato di evitarla, e dove non si è potuto l'abbiamo commutata con la V: es. bianco iancu, bisogno visógnu; e a sua volta sàvia sabia.
6. La D si è spesso tramutata in T: es. ladro latru, padre patri; più spesso in dr: es. Dio Dréiu, Do Dro, ardito ardritu; spessissimo in R semplicemente: es. danno rannu, divertimento rivértiméntu.
7. La F è rimasta intatta, se non che in alcune parole, come fiato, fiume e simili, è stata sostituita da una non sappiamo se vocale o consonante, che mal sapremmo figurare e perciò ci contentiamo di farla rappresentare dalla J, avvertendo di pronunziarla, ove capita, come va pronunziata dai Moranesi.
8. La G si commuta spesso colla C: es. spiga spica, fatica fatiga, ago acu, spago spacu.
9. La L scempia, massime quando trovasi nel mezzo delle parole si suol tramutare in R: es. palmo parmu, Bloise (n. p.) Broisi. La LL doppia si tramuta in ddr, pronunziate colla massima dolcezza: quindi da coltello si è fatto curtéddru, da cella cèddra, da anello aneddru.
10. Le sillabe im ed in nel principio delle parole hanno lasciato la i, quindi da impaccio si è fatto 'mpacciu, da inchiostro 'nchiostru, da insalata 'nsalata. Quando poi la m si è trovata seguita dalla b, ha fatto quasi sempre tramutare in m anche quest'ultima: es. imbasto 'mmastu.
Intorno alla in bisogna ancora osservare che, quando è seguita dalla v, sia la n che la v vengono tramutate in m: es. invito 'mmito, in vita mmita.
12. Le sillabe glia, glie, gli, glio, si sono tramutate in gghia, gghie, gghi (pron. schiacc.), gghio: es. paglia pagghia, doglie rògghi, consiglio cunsigghiu, imbroglio 'mbrógghiu.
13. Le sillabe pîâ, piè, piò, più mutansi sempre in chiâ, chié, chji, chiò, chiù, massime in principio di parola: es. piazza chiazza, piega chjica, piombo chiùmmmu (o in u), più (avv.) cchiù.
Ecco in breve le principali modificazioni che hanno subito le parole passando dalla lingua nazionale al dialetto, onde, tenendole sempre presenti, è facile a chiunque ricondurre una parola del dialetto all'italiano. Così avendo per es. la parola stiddra, tramutando la i in e, e la ddr in ll, ritornerà stella.

Ortografia e pronunzia

Le vocali O ed E, soprassegnate dall'accento grave (`) han suono largo come nelle parole pirèttu, caròti; quando han di sopra l'accento acuto (´) rendono suono stretto es. alésticu, nòzzuli (1).
Per il suono della J V. nota A art. 7.
Le sillabe ddra, ddre, ddri, ddro, ddru, van pronunciate, specialmente nei vezzeggiativi, colla massima dolcezza della D.
Le sillabe sca, sche, schi, sco, scu, sottosegnate da una virgoletta, van pronunziate a mo' dei Napoletani, es. sçatula, sçherdi, asçhi, sçoma, abbusçu.

 

Spiegazione delle abbreviature

agg. aggettivo – pl. o plur. plurale – sing. singolare – s. f. sostantivo femminile – s. m. sostantivo maschile – V. vedi – v. a. o v. att. verbo attivo – v. n. verbo neutro – n. p. nome proprio – avv. avverbio.

 

(1) Nel nostro dialetto è talmente importante il far marcare il suono largo o stretto delle vocali E ed O, che in alcune parole basta esso solo a far distinguere il genere. Così ad es. i figghjicéddri tói significa i tuoi figliuoletti, i figghjicèddri tòi, le tue figliuolette.

PRONTUARIO MORANESE–ITALIANO

A

Abbaddratùru Pianerottolo
Abbrusçulatùru (del caffè) Tostino
Abbrusçuliri v. n. Tostare
Abitéddru Breve o Brevino
Acina Uva
Acquasantàru Piletta
Acquàta Acquerello o Vinello
Alésticu Molenda
Allaiàri Sbadigliare
Ammarràri v. n. Allegare (dei denti)
Ammolapòrfici Arrotino
Amùri (frutti) Moricole o Morole 
Ancìni Angina
Annacàri Cullare
Arcu (malatt.) Itterizia
Arìddru Vinacciuolo
Arìgano Origano volgare
Arrizzàri (il muro) Rinzaffare
Arrogghiàri (la lana) Ungere
Asçhi Assi o Panconcelli
Astricu Pavimento
Attìppulu Turacciolo

B

Balìci Valigia
Bancàtu (del calzolaio) Deschetto
Bastùni Mazza
Baùgghiu Baule
Bicchéri (del pastaio) Campana
Binirìri (della donna dopo il parto) v. n. Andare in santo
Binirìri (del prete alla donna) v. att. Mettere in santo
Bùggia Tasca o Saccoccia
Buttùni (a carrozzèddra) Bottoni gemelli

C

Cacòni  Cocchiume 
Camàstra Catena da fuoco
Canalètta Doccia
Canìgghia Cruscone
Cannuléddru Cannello
Càntaru Cantero
Capaffócu Alare
Cappa Mantello,Tabarro, Ferraiuolo
Cappéddru a micciu Cappello a tre punte
Capu (della matassa) s. m. Bandolo
Carduni Silibio Maria
Carivùnchiu Foruncolo
Carivunèra Carbonaia
Carminari (la lana) v. att. Spelazzare
Caròta Barbabietola rossa
Casçaveddra Susina
Cascia (del telaio) Cassa
Catarràtta Cateratta o Botola
Catinàzzu Lucchetto o Chiavistello
       »      cu' a parola Lucchetto a cifra
Catinèddra (del liccio) Staffa
Catu (del manovale) Vassoio
Catùsu Doccione
Càuci (minata) Calcina
Càura (dari a) al ferro Bollire il ferro
Cauzèttùni Ghette
Cavagghiùni sing. Bica
Chiàna Piallone
Chianchéri Macellaio
Chianùzzu Pialla
Chichiriddru (della noce) Gheriglio
Chioppa Collare (del cane)
Ciculatèra Bricco
Cimminèra (nell’interno) Cappa del camino
         »         (nell’esterno) Rocca del camino
Cinniràcchiu Cinigia
Ciramìli (piani) Embrici
        »     (curvi) Tegoli
Ciramìlu (della tramoggia) Cassetta
Cirnìgghiu Vaglio
Ciàvula Ghiandaia
Cócciu Crosta
Cóppu (da cucina) Romaiuolo
Cótulàri le noci Abbacchiare o Bacchiare
Crucchiéttu màsculu Gangherello
        »         fimmina Gangherella
Crucivia Crocicchio
Cucchiàra Mestola
Cucugghiàta Allodola
Cucùmmaru Cetriuolo
Cùddrinéddri Berlingozzi
Cuddrùra Boccellato
Cùgghia Ernia
Cugnu (del legno) Conio
       »    (della camicia) Gherone
Culu (dell’ago) Cruna
Cumpagnìa (della sposa) Corteo
Cunucchiòla (del frullone) Albero
Cuperta Coperta
Curicìna Picciuolo
Curtéddru (del calzolaio) Trincetto
Cuncértu (di sposa) Finimento
Cuscìnu (da letto) Guanciale, Capezzale o Cuscino
     »       (da ricamo) Tombolo

F

Faléri (ovu)  Uovo barlacchio o boglio
Fasciatùru Pezza bianca
Fasùli a occhjicéddri Fagiuoli dall' occhio
Favàzzi Baccelli
Féddrura Férula
Filarcicu Sfilaccica
Filari (delle bottiglie) v.n. Incrinarsi
Filu (di lino) Refe
Focaràcchia Baldoria o Falò
Fragasciàri (il muro) Arricciare
Fragàscia (del muratore) Pialletto
Frasca (del filugello) Frasca o Bosco
Frunna (del filugello) Foglia
Frutti cunchiuti Frutte fatte
     »    cruri     »    non fatte
     »    azzuppati (1)      »    ammaccate
     »    c' u vèrmu      »    bacate
Fucìtula Fìcedula
Fullùni Frullone
Fuma Fumo
Fumu Fuliggine
Funicéddru (del pastaio) Piastra
Furìa Letto del filugello
Fursiùni Raffreddore
Furticéddru (del fuso) Verticillo o Fusaiuolo

G

Gaccéri Tagliere
Gaddra (della noce) Mallo
Giarra Coppo od Orcio
Giurici (della Stadera) Ago
Gògna Ciccia
Gnòmmaru Gomitolo
Gracciòffuli Carciofi
Grampuddìni Vitalba sing.
Grammuléri (del pastaio) Gramola
Granàta Melagrana
Grani pl. Vaiuolo
Grappu Graspo o Raspo
Grarigghia Gratella
Grasta Coccio
Grastéddru (da ordito) Rastrello
        »         (da forno) Tirabrace
Grattacàsa Grattugia
Grattapinna Nottola o Pipistrello
Gróffuliàri Russare
Gróssu (della stadera) Portata maggiore
Gùccia Apoplessia
Gura (da sedie) Sala

I

Irmàna Segala
Irratòrra Arcolaio
Iustèrna Cisterna

J

Jètta (di capelli o simili) Treccia
  »     (di agli ecc.) Resta
Jòcculu Nappa

L

Laganatùru Matterello
Làmia Volta
Langèddra Coppa o Nappo
Lantru Oleandro
Lardiàri Pilottare
Lattàra Nutrice
Lavàri i piatti Rigovernare (i piatti)
Lantèrna Lanterna
     »      ad un ócchiu Frugnolo
Livéddru (del muratore) Archipenzolo
Lizzarùlu s. m. Licciuola s. f.
Lizzu Liccio

M

Magàra (del fornello) Ventiera
Màliva--ròsa Pelargonio rosato
Mammàna Levatrice
Manipula Mestola o Cazzuola
Mannaléddru Nottolino
Màrchiu (della stadera) Romano o Piombino
Masçatura Serratura o Toppa
Masçhettu Saliscendo
Matassàru Aspo
Mattràru Tramoggia
Mazza (del muro) Scarpa
Ménnula Mandorla
Micciu Lucignolo
Milùni di pane Mellone o Popone
     »    d'acqua Cocomero o Anguria
Mimìddru Ago della toppa
Miricóttu Sapa o Mostocotto
Mposimàri Dar la salda
Mpuddra Bolla
Muccatùru Fazzoletto
      »       da tasca Pezzuola o Moccichino
Muddrìchi Bricie o Briciole
Muddrètta Molle
Munnìzza Spazzatura
Musci, musci... Muci, muci...
Mùscula (del fuso) Muscola o Coccarola
Muttìta Coltrone
Muzzicàri (le castagne) Castrare (le castagne)
Mirlinciàna Melanzana o Petronciano
Morsu Matassa

N

Navètta Spola
Ncégnu (del pastaio) Strettoio
Ncenséri Incensiere a Turibolo
Nchijma (del guanciale) Federa
Nchijmatùra Imbastitura
Nculumàtu Accoccolato
Niràli Endice
Nnàitu Ponte o Bertesca
Nomi (della camicia) sing. Marca, Contrassegno o Puntiscritto
Nòzzuli (delle frutta) Nocciuoli
     »      (delle pannocchie) Torsoli o Tutoli
Ntràcia Carbonchio
Nzìlica Selciato
Nzitàri (la pianta) Innestare
    »      (il bambino) Vaccinare

P

Pàliu Baldacchino
Panzàta Corpacciata
Paparìna Papavero (rosolaccio)
Passamànu Punto a spina
Pèddra (dei canonici) Insegna canonicale
Péri (del telaio) Panconi o Brancali
Péricarùla sing. Calcole plur.
Péttinissa Pettine di gaia o Diadema
Pezza (dell'abito) Toppa
Pinnulïari (l' uva) Piluccare v. att.
Pintu (dal vaiuolo) Butterato
Pi, pi, pi... (alle galline) Billi, billi, bili...
Pilàga Gotta
Pipàzza Peperone
Pircòcu Pesco
Piròzza (di legno) Bischero
     »      ( di ferro) Pirone
Piréttu Fiasco
Pira putìra Pera a campana
Pirtùsu (del muro) Covile
Pisatùru Pistone
Pisciapréviti sing. Pipita
Pisciatùru Orinale o Pitale
Pisólu Davanzale
Pitrusìnu Prezzemolo
Puca Pula, Loppa o Lolla
Puntùra Pleurisia o Pleurite
Pupa Bambola
Purrìno Porro o Verruca
Purtàri a cantaréddru Portare a predelline
     »      a caucincéddru Portare a pentole
     »      'ncóddru       »     a tracolla
     »      'mbrazza       »     in braccio
Purtèddra Occhiello
Purtéddru Sportello
Purtugàddru Melarancia
Pustéuma Apostema o Ascesso
Pustùni (del pastaio) Toppo

Q

Quagghiàri v. n. Coaulare
Quagghijnu (casu) Cacio inverminato
Quartéri Caserma

R

Ramuncéddru Cedro-limetta
Rasùla Radimadia
Rétupùntu Punto addietro
Ricattatùra Trecca o Rivendugliola
Riddrattàri (le uova) v. a. Diguazzare o sbattere
Riga (dello scrittoio) Riga
   »   (del muratore) Regolo
Rïùla Mezzùle
Rizza (della finestra) Rete
Rizzòlu (1) Orzaiuolo
Rósuli Geloni
Rugna Rogna o Scabbia
Rùmmuli Rulli

S

Sacchètta Saccoccia o Scarsella
Saccu (del letto) Saccone o Pagliericcio
     »    (i notti) Sacca da notte
Sagnìa Salasso
Saiòla Bilancetta
Saìtta (del mulino) Cateratta (del mulino)
Satimùrra Salamoia
Santunìna Santonina
Sartània Padella
Sauzìzza (del maiale) Salsiccia
      »      (delle gambe) Incetto
Sangiuvànni Comparatico
Scaravàiu Blatta
Sçattagnòla Nacchera
Sçherdri Schegge
Scifu Truogolo
Sciddróttu (della camicia) Quaderletto
Scigu Strappo
Sciù (alle galline) Scio', scio', scio'...
Scòddra Corvatta o Cravatta
Scrima Scriminatura o Dirizzatura
Scrócchiulàri (fag. o pisel.) Sgranare
Scupetta Spazzola
Scùpulu Spazzaforno
Sdanga (del pastaio) Stanga
Serràcchiu Saracco
Siccia Sepia
Sippórtu Cavalcavia
Sìricu a cruci, a munnu Filugello da 3 da 4 mude
Smammàri Divezzare
Spànniri (i panni) v. a. Sciorinare
Spartu Ginestra
Spica (del frumento) Spiga
     »   (delle calze) Fiore o Mandorla
Spingiméntu Companatico
Spinzu Fringuello
Spugghiòla (del filug.) Muda
Spurli Sbavature
Spurtùni Cesta
Ssùgghia Lesina
Ssùgghiu (d' avanti) Subbiello
       »      (di dietro) Subbio
Staffìli Frusta
Stantu Stipite
Stròna Gora
Suppìgnu Soffitta
Suprissàta Salsicciotto
Sutàzzu Staccio
Suttacànni Soggolo
Suttìli (della stadera) Portata minore

T

Taccarèddra (del mulino) Nottola
Tagghiatùru Tagliuolo
Tagghiòla Trappola
Tata Babbo
Tènna (della filatrice) Gugliata
Ti, ti, ti... (alle galline) Curra, curra...
Tiiànu Tegame
Tiiddru Correntino
Tiièddra Tegghia
Timpàgnu Fondo
Tinèddra (del bucato) Mastello o Tinello
Tiràntuli Stracche
Tirapèri (del calzolaio) Pedale
Tizzùni (del lucignolo) Moccolaia
Tòrchiu Strettoio
Tòrtanu Boccellato
Tórcitùru Randello
Trivèddra Succhiello
Trivìddru Zipolo

U

Usciti plur. Soccorrenza

V

Vacìli Vassoio
Vaiàni Fagiuoli verdi o in erba
Valanzùni Staderina
Vanèddra Intercapedine
Vantisìnu Grembiale
Varcàri (il panno) v. a. Sodare
Varchèra Gualchiera
Varòla Ghiera o Vera
Varra Stanga
Vavaròla Bevaglio o Bevaglino
Vavàzzu Gozzo
Vérciàli Ghiaia
Vernicóculi Albicocche
Vértula Bisaccia
Via (dell' ordito) Mezzetta
Vìrdulu Trivello
Vizza Veccia
Vózzi Scrofole
Vòccula (del portone) Picchiotto o Martello
       »      (del bottone) Picciuolo o Gambo
Vrascéra Caldano o Braciere
Vitranèddra Morbillo
Vrigola (del telaio) Bacchetta
Vrógnu Bernoccolo
Vùmmula Orciuolo
Vutàri (la casa) v. a. Ripulire il tetto

Z

Zagàgghia Legaccia o Cintolino
Zappa (del calcinaio) Marra
Zàzzara Zacchera o Panziera
Zigarèddra Nastro
Zippa Rete od Omento
Zippùni Ceppo
Zizignòla Gingallegra
Zòntaru Sgorbio o Scorpio
Zóppichiàri Fare il piè zoppo
Zuccaréddri(2) Chicche


(1) Pronunzia aspra.
(2) Tutti questi Z vanno letti con pronunzia dolce.

PRONTUARIO ITALIANO–MORANESE

Questa sezione del Prontuario è omessa poiché sostanzialmente speculare a quella Moranese-Italiano (ma vedi le Note sull'edizione).

NOTE SULL'EDIZIONE

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