Gibran Khalil Gibran. Un outsider nella letteratura americana
Cinzia Mastrascusa
La fortuna in Italia
La diffusione dell'opera letteraria di Gibran, collegata direttamente con la sua attività di pittore, si svolse, nell'ultimo decennio della sua vita e nel decennio successivo, grosso modo fra gli anni '20 e '40, in due aree specifiche: gli Stati Uniti per gli scritti in inglese, il Medio Oriente per gli scritti in arabo.
Dopo questo primo ventennio, la sua opera arriva in Europa con la cultura americana che tiene dietro alle Armate Liberatrici (Il Profeta appare in alcuni paesi europei già prima degli anni '40, ma non è ancora il successo), e più tardi, con ondate violente, negli anni della contestazione.
In Italia Il Profeta è stato pubblicato per la prima volta oltre 50 anni fa, ma Gibran è rimasto ignorato fino ai primi anni '80. Nel 1971 e nel 1974, in due saggi apparsi su "Oriente Moderno", Florio Santini lamentava questo disinteresse, che guardava con sospetto, verso un autore tanto apprezzato a livello mondiale. D'un tratto poi, pressappoco dall''85, è iniziato un bombardamento editoriale e pubblicitario che ha portato Gibran alla ribalta. A riprova di questo interesse, viene pubblicata nel 1989 da Longanesi la traduzione di The Profit, Il Profitta, sciatto tentativo di parodia che si inserisce nel fiorente filone comico-demenziale. Ne citiamo uno dei passi iniziali:
Sono qui, sono stanco
ma risponderò ai vostri quesiti.
Portatemi da mangiare e da bere
e non vi scordate qualche moneta d'oro.
Una moneta d'argento per una risposta.
Una dracma per un dubbio, centomila per una dose.
Perché io
sono il Profitta,
e tutto ciò che ho appreso mi è costato
dieci vite.
La prima edizione italiana del Profeta risale al 1936. Il saggio introduttivo di Augusto Mancini, chiaro e completo, rimane a tuttoggi una delle cose migliori del panorama critico italiano. L'opera passò inosservata, tanto che nell'edizione del 1966 di Kossù si leggeva:" [Il Profeta] è il primo libro di Gibrane che appare in Italia, ove tale Autore è stato finora totalmente sconosciuto e inedito". Questa seconda edizione non ebbe miglior fortuna: nelle bibliografie è indicata come prima edizione sempre e soltanto quella del 1968 di Guanda a cura di Giampiero Bona. Le riedizioni di Guanda del 1975 e del 1977 sono accompagnate da una prefazione di Bo e una introduzione di Bona, che riprende le pagine di Naimy sui rapporti fra Gibran e Nietzsche.
Ancora per Guanda, nel 1979, appare Sabbia e onda, introdotta da una critica sociologica e distruttiva di Carlo Alberto Corsi:
I giovani, nella crisi generale di valori [...] hanno spessosentito il bisogno [...] di abbandonare i sentierifaticosi della politica per trovare rifugio in paradisi più o meno artificiali [...] Si è passaticosì da modelli, da guru politici, ad altri di stampo solo apparentementespirituale [...] Il materialismo [...] non paga più.E allora [si] riscoprono acque calde ma pericolosamente stagnanti [...] E'certo che egli [Gibran] sia uno scrittore di tempi di crisi o chepreparano quelle stesse crisi [...] Non c'è dubbio che egliappartenga al filone dei mistici [...] non si può comunqueaffermare che in tale compagnia possa aspirare a farla da protagonista [...] almeglio si può pensare a lui come a un comprimario.
Il Corsi si sofferma anche sulle ragioni del ritardo e della limitatezza del fenomeno Gibran in Italia individuandole nella forte presenza della Chiesa cattolica che detiene il "monopolio" delle anime.
Nel 1982 la stessa casa editrice pubblica I segreti del cuore, con traduzione di Nicola Crocetti che scrive anche il saggio introduttivo. Come è avvenuto spesso nella critica gibraniana, si sottolineano con compiacimento le contraddizioni dell'uomo. Il Crocetti si sofferma sul carattere mistificatore di Gibran — un bell'esemplare di self-promotion man, vittima della sua stessa impostura , con il suo atteggiamento da guru levantino —, e poi sull'inspiegabilità del suo successo in America, dove però per l'assenza di una rigida struttura religiosa e il conseguente inappagato misticismo di certa società americana, c'era l'humus ideale per l'attecchimento del suo messaggio poetico e filosofico.
Nella seconda metà degli anni '80 e in quest'inizio dei '90 si moltiplicano le pubblicazioni. Si hanno quattro edizioni del Folle (Ed. Piazza Navona, Studio Editoriale, Guanda, Mondadori), nuove edizioni del Profeta (Guanda, in una veste grafica più curata e con cofanetto; Ed. Paoline; Studio Editoriale, Newton Compton; Feltrinelli; TEA ecc.) e varie traduzioni del Giardino del Profeta. A sottolineare l'interesse crescente verso l'autore si avviano anche traduzioni direttamente dall'arabo. E' il caso di Le Tempeste (Feltrinelli, 1991) proclamata raccolta di inediti ma con brani già apparsi nei Segreti del cuore. Si sta verificando in Italia quello che già da molti anni è avvenuto in America: una diffusione incontrollata di testi, ora dall'arabo, ora dall'inglese, che si intersecano e si incrociano creando una grande confusione. Così L'Incantevole Uri in versi dei Segreti del cuore diventa La Ginn Incantatrice in prosa delle Tempeste, La viola ambiziosa si trasforma in La viola vanitosa, in brani molto diversi fra loro.
Appaiono nuove raccolte (Le parole del Profeta, Guanda, 1990) che si aggiungono all'oceano di quelle tradotte dall'inglese, che avevano solo ragioni commerciali e sono costituite per lo più da materiali di scarto. Gibran scrisse molto, annotando i suoi pensieri, a volte parafrasando quelli degli altri, poi cercando una forma migliore e così ridefinendoli di continuo, ma scartò anche molto. Certamente non era destinato alla pubblicazione tutto quello che sarà invece pubblicato. Sommersi fra tanta ripetitività e spesso banalità, della quale Gibran non fu l'unico responsabile, si perdono i momenti più felici dell'ispirazione gibraniana, passano in secondo piano opere che meriterebbero maggiore attenzione come The Madman e Jesus the Son of Man. E' indicativo che Gibran, quando cominciò ad arridergli il successo, non pensò di tradurre il materiale in arabo (se non quello che usò modificandolo nelle opere inglesi); esso era destinato soltanto al pubblico orientale, gli stessi contenuti erano già stati offerti, in una forma e uno spirito che si accordava alle diverse esigenze, agli americani.
Le edizioni italiane, numerose e diverse, sono accomunate da un'estrema inaccuratezza e superficialità. Moltissime imprecisioni sono presenti nelle note biografiche e bibliografiche, e purtroppo capita di trovare anche grossolani errori di traduzione.
In conclusione di questo lavoro, dopo la panoramica sull'opera di Gibran e sui problemi e le domande che essa suscita, sulla sua accoglienza nel nostro paese, vorremmo tornare su un aspetto a cui si è fatto cenno e che meriterebbe di essere considerato più attentamente: quella che Barbara Young definì la manysideness di Gibran.
Gibran è un mistico e non è un mistico. Se per mistico intendiamo chi cerca di raggiungere l'unione estatica con l'Essere Supremo — secondo le correnti del sufismo, secondo quelle medievali cristiane, o nel percorso di forti individualità —, Gibran non è un mistico; secondo l'accezione comune e approssimativa che considera mistico chi si dedica più o meno vagamente, con momenti di accensione o più spesso di depressione, a teorie e pratiche di meditazione trascendentale, allora Gibran è un mistico. Egualmente egli è e non è un filosofo. Se filosofo è il pensatore che cerca di collegare la storia del mondo e quella del pensiero in un sistema, Gibran non può dirsi un filosofo; se filosofo è chi faccia appropriate considerazioni, frutto di esperienze attente e di un pensiero chiaro, allora Gibran è un filosofo. Allo stesso modo egli può essere considerato o no un poeta.
Si è parlato nei capitoli precedenti di ambiguità poetica e di instabilità linguistica, meglio sarebbe riassumere ora questa dialettica di contrasti con termini nuovi: mobilità, emotività, sensibilità. Queste doti di mobilità sono un aspetto a nostro avviso non considerato nella sua giusta luce, la chiave di lettura principale per la comprensione dell'autore e della sua opera. La mobilità viene sentita come una dimensione, una vocazione personale da Gibran stesso. Nel Profeta egli si identifica con la nebbia: and not unlike the mist have I been, dove la nebbia non è solo indeterminatezza e confusione, ma cominciamento e potenzialità: vague and nebulous is the beginning of all things but not their end, and I fain would have you remember me as a beginning. L'immagine finale della nebbia tornerà nell'invocazione finale di The Garden of the Prophet:
O Mist, my winged sister Mist, we are togethernow ...
O Mist, my sister I come
back ...
O Mist, my sister, first born of my mother...
O Mist, my deathless sister ...
Delle sette maschere è rimasto alla fine il sette, come numero, come ritmo, si ché quasi ritualmente viene invocato alla fine — The Garden è l'ultima opera di Gibran — sette volte il cominciamento, che è cominciamento di tutte le cose.
In una lettera a Mayy Ziadah Gibran scriveva:
io sono nebbia Mayy. Una nebbia che sommerge le cose ma nonle amalgama. Sono unanebbia che non si condensa in gocce...
Ci piace concludere con queste parole che riassumono meglio di ogni critica l'essenza della poesia dell'uomo venuto dal Libano.
Bibliografia
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The Madman, His Parables and Poems,New York, Knopf, 1918.
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The Prophet,New York, Knopf, 1923.
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The Wanderer: His Parables and His Sayings, New York, Knopf, 1932.
The Garden of the Prophet,New York, Knopf, 1933.
Prose Poems,New York, Knopf, 1934.
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The life of Kahlil Gibran and his Procession, New York, Arab-American Press, 1947.
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Nymphs of the Valley,New York, Knopf, 1948.
Spirits Rebellious,New York, Knopf, 1948.
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A Second Treasury of Kahlil Gibran,New York, Citadel Press, 1962.
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Il giardino del Profeta, Crocetti Ed., Milano, 1986, trad. di N. Crocetti, testo inglese a fronte.
Gesù Figlio dell'Uomo, Studio Editoriale, 1987, a cura di Isabella Farinelli, con una postfazione e notizie bio-bibliografiche.
Il Profeta, TEA, Milano, 1988, prefazione di C. Bo, introd. e trad. di G. Bona.
Il Folle, Studio Editoriale, 1988, a cura di I. Farinelli, con una postfazione e notizie bio-bibliografiche, testo a fronte.
Il Vagabondo, Studio Editoriale, 1988, a cura di I. Farinelli, con una postfazione e notizie bio-bibliografiche, testo a fronte.
Il Precursore-Il Folle, Guanda, 1989, con una nota di Hafez Haidar, trad. di Giulia Angarano.
Le Ninfe della valle e Spiriti Ribelli, Guanda, 1988, trad. di G. Angarano, nota di Hafez Haidar.
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Gli dei della terra, Studio Editoriale, 1989, a cura di I. Farinelli, con una postfazione e notizie bio-bibliografiche, testo a fronte.
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Sabbia e Schiuma, Studio Editoriale,1990, a cura di Isabella Farinelli, con una postfazione e note bio-bibliografiche, testo a fronte.
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Le parole non dette di Kahlil Gibran, Milano, Ed. Paoline, 1991, a cura di I. Farinelli.
Massime spirituali, Studio Editoriale,1992, a cura di I. Farinelli.
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