La flora ruderale di Morano
I muri e la salute
Fedele Mastroscusa
L'agro di Morano Calabro, con i suoi 112 Kmq. compresi fra le quote di 520 e 2248 metri s.l.m. ha una estensione ed una escursione floristica di notevole importanza. Dalla macchia mediterranea – a poche e piccole chiazze dei componenti tipici (lentisco, leccio) sparsi o isolati a piccoli gruppi – alla flora a facies alpina, con la caratteristica del Pino loricato (Pinus leucodermis Ant.) e del Cocomilio (Prunus Cocomilia Ten.) che sono due relitti di flora arcaica, con la presenza di varietà endemiche, questo territorio costituisce con gli agri circonvicini di Saracena e Orsomarso, nel versante calabro, un orto botanico naturale. Nelle radure, aride e degradate, dei pendii compare la "microflora mediterranea precoce" con le fiorite, da aprile a maggio, di Calendule, Ranuncoli, Narcisi, Orchidee, con la frequenza di "garighe a labiate" (Salvie, Lavanda, Timo, Menta).
All'argomento specifico della vegetazione ruderale e spontanea del nostro abitato nessuno specialista si è finora dedicato, pur con lo stimolo circostante, nell'area del Pollino, di una ricca flora officinale. Nell'attesa che un botanico – quale Biagio Longo di Laino, inventore (ab inveniendo) del Pino Loricato, o quale il Dr. Joseph Baas, del Museo Botanico di Frankfurt a. M., che ha studiato e definito negli ultimi decenni il Cocomilio, presente in rari esemplari anche in Valchiusa, presso Avignone – voglia avviare un tale studio, vale accennare per sommi capi a questa flora, spontanea e infestante, dell'abitato di Morano, per la relazione, positiva o negativa, di rado indifferente, che essa ha con la salute, per le affezioni specifiche da queste piante provocate o lenite, o sopite.
Un campo sempre più intenso di affezioni – per l'accumulo, qui come altrove, di detersivi, cosmetici e confezioni sintetiche – è quello delle allergie: qui operano, da sole o con eventuali sinergie, la Parietaria officinalis anche nella varietà Judaica (regina incontrastata dei muri, degli angoli delle vie, dei frammenti superstiti di orti e giardini, e ospiti dei vasi di fiori), e l'Artemisia con almeno due varietà, ed eventualmente, cauto, senza farsi notare, il Verbasco con parecchie varietà.
Ma non dobbiamo tralasciare le attenuanti: la Parietaria aveva, ed ha, proprietà diuretiche, ed era usata per smacchiare oggetti di vetro con le sue foglie ricche di nitrato di potassio, e fu detta anche "erba vetriola"; dell'Artemisia volgare le farmacopee tradizionali consigliavano l'infuso di foglie e fiori, al 20 per 1000, quale tonico diuretico sedativo, e la polvere di radice seccata contro le convulsioni dei bambini, e talora contro l'isteria e l'epilessia; del Tasso barbasso era indicato il decotto di fiori contro le affezioni acute e croniche della respirazione (perciò è da supporre ex adverso che esso contribuisca a provocare allergie).
Frequente il Cocomero Asinino, Ecballion Elaterium, del quale i bambin pre-computer facevano scoppiare i pelosi peponidi ovali; comune nei luoghi aridi e incolti dell'area mediterranea, era coltivato in Francia e in Inghilterra a scopo farmacologico. Il succo, polverizzato o trattato con alcool, era usato, continuando la tradizione medica dei greci, come purgante drastico e come diuretico, nell'ídrope e nell'anasarca; non è da escludere che possa essere, in qualche caso, un farmaco vicario della colchicina.
Comune ancora, e frequente, sui nostri muri l'Ombelico di Venere, Umbilicus Pendulinus, di cui si raccoglievano per gioco le decorative foglie grasse, rotonde ("coppe"); applicazioni di esse, secondo l'altra medicina odierna, sarebbero efficaci in caso di sarcoma dal decorso lento. Proprietà analoghe dovrebbe avere un'altra crassulacea, parimente frequente, l'Erba pinocchina o Erba stellata, Sedum acre e Sedum stellatum, con fiori a piccole stelle, gialle o biancastre. Nelle fessure cresce rigoglioso l'Asplenium Ceterach, una piccola felce, di consistenza coriacea, il cui decotto, secondo tradizione e applicazione popolare, sarebbe efficace a ridurre ed espellere nel giro di due settimane, alcuni tipi di calcoli (un'altra felce affine, il Polipodium vulgare, era usata in medicina nelle affezioni biliari).
Abbondante una volta, oggi (1991) piuttosto raro come le rocce che lo albergavano dentro l'abitato prima della coltre di cemento, cresceva il Giusquìamo, Hyoscyamus Niger, una piccola solanacea con le foglie viscose irte di peli cotonosi; il suo alcaloide, la giusquiamina, o hyoscyamina, è più attivo dell'atropina (e conviene ricordare l'abbondanza dell'Atropa Belladonna intorno e sopra i mille metri), usato in medicina per asma, coliche, morbo di Parkinson, e in omeopatia, con dosi ad alte diluizioni, per tosse, crisi e corea isteriche.
Qua e là compare, ruderalmente, la Piantaggine, Plantago major e Pl. media (si tratta di una soecie polimorfa; e sul Pollino si hanno specie alpine e appenniniche come la Pl. Montana Lam., e la Pl. Argentea Chaix in Vill.), usata in medicina nelle infiammazioni delle vie respiratorie; in omeopatia la major per mal di denti, otite media,enuresi notturna; e nella medicina popolare il decotto di foglie contro le infiammazioni oftalmiche. Si aggiunga che i semi della piantaggine sono un gustoso paníco per gli uccelli.
Con vigore eccezionale si sviluppa l'issòpo, Hyssopus off. (Linnei s'intende), pianta sacra per gli Ebrei che la usavano per le purificazioni; fratello minore del rosmarino e del timo, che può sostituire, o esservi associato, nei condimenti e nelle tisane. Nella 'Farmacologia generale' del Limoncelli (Napoli, 1862) leggiamo: "...si ebbe fama di stomachico, vulnerario, diuretico, vermifugo, espettorante... prescrivesi talvolta per combattere le croniche malattie del polmone, l'asma umida, la tosse".
Spontaneo e invadente – è il biglietto da visita della flora mediterranea - ovunque l'uomo tarda o tralascia la sua presenza, il fico selvatico, Ficus Carica L. v. Caprificus, che ha dato il nome ad una contrada dell'abitato, dove prima del '700 non sorgevano fabbricati urbani, e sul pendio si affollavano macchie di fichi selvatici.
Conclusa questa rassegna, rapida e sommaria, e ovviamente incompleta, della nostra vegetazione ruderale (dovremmo aggiungere la Malva, l'Euforbia, la Mercorella,etc.; tutte entro le quote 590 e 722), è necessaria una nota personale, dello scrivente. Al quale capitò, circa venti anni fa, di portare dalla zona del Raganello dei frutti di Capparis alba, per tentarne l'acclimatazione. Il vento disperse i semi, e qualcuno ne germogliò fra roccia e fondazioni della casa, alla Salita Ferisanto, dove ora cresce rigoglioso un esemplare di cappero, generoso di fiori, e di frutti. Un'altra pianta di analoga spontanea e casuale acclimatazione è la Poa Alpina vivipara raccolta verso quota 1500 per un erbario; anch'essa vegeta, e in numerosi esemplari.
Un'ultima considerazione s'impone: sulla discronia di questa, come delle altre, flora ruderale degli abitati; durante la vita agricola tradizionale, che subì una frattura intorno agli anni Cinquanta, il commercio di uomini e di animali fra nucleo urbano e campagna portava a uno scambio continuo tra la vegetazione dell'agro e quella dell'abitato. Con l'interruzione di questa osmosi le due flore rimasero separate, trovando nuovi equilibri; così, ad esempio, è quasi scomparsa la Portulaca, associata a insalate crude, ed è diventata infestante, emigrata dai vasi di fiori su ogni fessura minima di muro la Bocca di leone. Più rara invece qualche Ortica e qualche Lamio. Ancora più complesso il discorso, per il volenteroso che vorrà affrontarlo, della presenza ruderale di muschi e licheni, ovviamente spie, importanti, della costituzione delle malte con cui furono costruite queste case e questi muri, a noi così cari, di Morano.